IL TEATRO DELLE OMBRE

IL TEATRO DELLE OMBRE

Una tradizione indonesiana che si tramanda da secoli

Marionette del teatro delle ombre indonesiano.

Conosciuto in Indonesia come “Wayang Kulit“, il teatro delle ombre è una forma d’arte diffusasi tra Bali e Giava nel X secolo. Ha origine dal Tholu bommalata, il teatro di marionette di cuoio dell’India meridionale; l’arte delle ombre, infatti, probabilmente fiorì a Giava con la diffusione dell’induismo. Parliamo di una tradizione secolare, che non ha mai smesso di affascinare turisti provenienti da tutto il mondo, sia per le tecniche utilizzate che per le storie narrate. Il Wayang Kulit è una delle forme di spettacolo del Wayang, il cui termine indica genericamente le forme teatrali indonesiane che appartengono al teatro di figura. Wayang deriva infatti da un altro termine, bayang, che in indonesiano vuol dire “ombra“.

Marionette in pelle dell’India meridionale.

Si tratta di spettacoli molto lunghi e suggestivi, rappresentati fuori da templi o palazzi, oggi in molteplici occasioni: riti di passaggio alla maturità, giorni di festa, compleanni, matrimoni e festività religiose. Storicamente, invece, il Wayang veniva eseguito nelle corti reali giavanesi. In entrambi i casi, lo spettacolo trasmette un messaggio che è rilevante per la cerimonia. Le performace iniziano in serata (attorno alle nove) per terminare a notte inoltrata: il buio della notte è fondamentale nella creazione di giochi di luce e ombre tipiche di queste esibizioni. Protraendosi per molte ore (anche dieci consecutive!), è necessario essere dotati di una notevole resistenza fisica, cosa che sia ai marionettisti e che ai musicisti del Wayang non manca.

Il marionettista, ovvero il dalang, è la figura chiave del teatro delle ombre perchè artigiano, narratore e storico, il cui bagaglio culturale viene tramandato oralmente di padre in figlio. Il dalang muove le marionette, dà loro voci diverse a seconda del personaggio (divinità, re, guerrieri, eremiti, mostri ecc.), può intonare canzoni, decide quale storia inscenare e quale musica usare come colonna sonora della rappresentazione: cori di donne e uomini e un’orchestra di strumenti a percussione, detta gamelan, composta da metallofoni, xilofoni, tamburi e gong, che accompagna senza sosta ogni scena con una musica appropriata.

Tradizionalmente si credeva che il dalang fosse in grado di comunicare con il “mondo invisibile”. Il marionettista, infatti, non parla solo nelle lingue vernacolari familiari dell’indonesiano e del giavanese, ma anche, a volte, nelle antiche lingue giavanesi e persino in sanscrito, che non sono comprensibili al pubblico umano, ma sono destinate ad essere comprese dal “pubblico invisibile”. La capacità del dalang di eseguire molte voci diverse, maschili e femminili, raffinate e grossolane, serie e divertenti, è ciò che rende “vive” le marionette del Wayang.

Tipico spettacolo di marionette, Wayang Kulit.

Durante la lunghissima performance, che conta a volte anche 500 marionette diverse, il pubblico può muoversi tra la parte anteriore dello schermo, dove si vedono le ombre, e la parte posteriore, dove il dalang muove le marionette. Inoltre l’attenzione del pubblico non è continua: c’è chi chiacchiera, chi mangia, chi fuma, addirittura chi dorme! Per tenerlo coinvolto, il dalang alterna lingue e stili, giochi di parole e passaggi filosofici, commentando spesso anche eventi attuali. Il dalang, infatti, non è solo un intrattenitore, ma anche un’importante figura politica. Il suo è un lavoro prestigioso e remunerativo, persino in epoca moderna. L’atmosfera vivace, rumorosa, ma sofisticata, quasi conviviale, che si crea è in realtà l’obiettivo della performance.

Teatro delle ombre di fine Ottocento: avanti e dietro lo schermo di cotone.
Teatro delle ombre moderno: avanti e dietro lo schermo di cotone.
Gamelan, orchestra di strumenti a percussione del Wayang, posta alle spalle dello schermo di cotone.
Marionettista che manovra le marionette del teatro delle ombre con orchestra di sottofondo.

Le marionette del Wayang sono figure legate a miti e leggende indonesiane e persiane e all’epica indiana (in particolar modo ai due cicli classici del Mahābhārata e del Rāmāyaṇa), che di solito coinvolgono dilemmi morali ed etici affrontati dai personaggi, nell’infinita battaglia tra bene e male, amore e guerra, tra idee filosofiche e messaggi toccanti che danno profondità alla performance. Altre volte le storie possono avere un fondamento politico. I personaggi “buoni” possono possedere caratteristiche negative e, allo stesso modo, non tutti i personaggi “cattivi” sono del tutto immorali. Quando vengono introdotti, le figure che rappresentano le forze del bene sono a destra, quelle del male, invece, a sinistra.

I gunungan, oggetti di scena a forma di foglia intarsiata che definiscono l’ambientazione della performance,
segnano l’apertura e la chiusura delle scene.

Si distinguono tre tipologie di marionette: le marionette in legno in tre dimensioni, vestite con abiti di stoffa tradizionali e più mobili (wayang golèk), quelle in legno bidimensionali, più rigide (wayang klitik) e le sagome piatte intagliate nella pelle di bufalo (wayang kulit). Queste ultime, sole protagoniste del Wayang Kulit, appaiono all’occhio dello spettatore sottoforma di ombre proiettate su di uno schermo di cotone, originariamente grazie all’ausilio di lampade ad olio (oggi elettriche). Le forme e i movimenti stilizzati delle prime marionette kulit del Wayang sono stati imitati da altre forme di Wayang, in particolare dal golèk, di cui abbiamo appena parlato.

Marionette bidimensionali in legno (wayang klitik)

Le wayang kulit variano in altezza, dimensioni e forma, ma hanno tutte uno stile unico. Hanno arti lunghi e sottili e la nuca del loro collo è piegata, tanto che sembra che i personaggi siano gobbi. Gli arti superiori sono mobili, mentre la testa è fissata al busto; a differenza delle marionette occidentali mosse dall’alto con i fili, queste si muovono grazie a tre asticelle in corno di bufalo, fissate rispettivamente ai due arti superiori e alla base della figura. Ciò che colpisce di queste marionette è che nonostante lo spettatore veda solo le loro ombre, sono comunque finemente dipinte e lavorate; questo perchè in passato, a differenza delle donne, agli uomini era permesso guardare lo spettacolo dall’altra parte dello schermo di cotone.

Ogni marionetta ha una certa personalità, si distigue dall’altra per espressioni facciali, andatura, caratteristiche fisiche e costumi colorati, che sono dipinti o addirittura drappeggiati. I colori di solito simboleggiano una particolare qualità del personaggio: l’oro è un colore che si trova nella maggior parte delle marionette e simboleggia dignità, onore, eleganza e tranquillità; il nero, un altro colore comune, rappresenta rabbia, saggezza o maturità; il rosso simboleggia impulsività, ferocia, caos e agitazione; infine, il bianco è sinonimo di giovinezza. Per quanto riguarda caratteristiche fisiche e andatura, l’eroe e l’eroina, per esempio, seguono gli standard di bellezza della società giavanese. Il loro linguaggio del corpo, inoltre, rispecchia le loro qualità: per esempio, i personaggi buoni guardano sempre in basso, per dimostrare umiltà, quelli forti guardano avanti e quelli arroganti, in alto, con occhi sporgenti. Infine, i personaggi di supporto sono di solito di piccole dimensioni, mentre quelli feroci (come i demoni) sono i più grandi, terrificanti e grotteschi.

Ogni elemento del Wayang ha un significato simbolico: lo schermo di cotone rappresenta l’universo, il tronco a forma di banana su cui sono inserite le marionette (quando non vengono usate dal marionettista) rappresenta la Terra a cui ogni uomo è connesso, e la luce della lampada ad olio (o elettrica) simbolizza il sole. Il dalang rappresenta il tramite tra divinità e uomini, che manipola il fato, mentre le ombre che crea simbolizzano la fragilità e la transitorietà dell’esistenza umana.

Il 7 novembre 2003 il Wayang Kulit è stato proclamato dall’UNESCO parte del Patrimonio orale e immateriale dell’umanità.

Sebbene si svolgano anche in Cina e in tutto il sud-est asiatico, le rappresentazioni del teatro delle ombre non hanno le stesse connotazioni mistiche e religiose della città di Giava. Inoltre, a sua volta, all’inizio del XX secolo il Wayang influenzò le marionette europee con il teatro delle marionette viennese di Richard Teschner, il Figuren Spiegel.

Per concludere, se siete interessati a scoprire i “segreti del mestiere” degli artigiani che si dedicano alla produzione delle marionette in cuoio, basterà che vi rechiate al laboratorio di marionette più famoso di Bali, il Mustika Collection, che altro non è che un’abitazione privata nel cuore di Puaya, a circa 1 km da Sukawati, il paradiso dell’artigianato e delle danze tradizionali.

Quanto vorrei poter assistere ad uno spettacolo di Wayang Kulit, un giorno! Beh, forse non per dieci ore consecutive… un paio andrebbero più che bene. E voi? Pensate potrebbe essere entusiasmante? Magari se passate per Giava o Bali…

Intanto, al prossimo articolo!

Fonti

IL LOTO D’ORO

IL LOTO D’ORO

Una tra le più assurde torture cinesi

Scarpette di loto dalla forma conica, in cotone e seta, con motivi di animali e fiori.

Che nome accattivante, “il loto d’oro”, non è vero? Porterebbe d’istinto la mente a immergersi nella fasto della Cina imperiale, alla ricerca di qualche gioiello prezioso e raro, magari leggendario. Peccato che invece stiamo parlando di tutt’altro, ovvero di una tra le pratiche più atroci della Cina dei Song (960 – 1279) , dei Ming (1368 – 1644) e dei Qing (1644 – 1911), protrattasi fino alla prima metà del ventesimo secolo.

Conosciuto anche come “giglio d’oro” o, per essere meno poetici, “foot binding” – ovvero bendaggio dei piedi – l’usanza di fasciare i piedi impedendone la crescita in cinese veniva chiamata 缠足 chanzu, ed era tipica delle famiglie più ricche e influenti, in cui le bambine venivano fasciate a partire dai 2 agli 8 anni (in pratica lo stesso arco di tempo in cui a noi donne vengono fatti i buchi alle orecchie), quando le ossa erano ancora elastiche. Nelle famiglie contadine, la pratica si svolgeva più tardi, per dare alle adolescenti la possibilità di lavorare fin quando non venivano date in sposa. La prassi voleva che la pianta dei piedi venisse piegata e mantenuta di una lunghezza di 7 – 12 cm (appunto, della grandezza di un loto): per prima cosa i piedi venivano lavati e cosparsi di allume, un coagulante anti-emorragico che avrebbe prevenuto la formazione di cattivi odori e di batteri dannosi, e quindi infezioni (come gangrena e setticemia); inoltre, per lo stesso motivo, le unghie venivano tagliate molto corte; le dita più piccole (tranne l’alluce) venivano piegate al di sotto della pianta del piede, mentre l’alluce e il tallone venivano avvicinati forzando il collo del piede ad un inarcamento che avrebbe deformato definitivamente le ossa del tarso e del metatarso. Infine i piedi così piegati, venivano avvolti in delle bende larghe 5 cm e lunghe fino a 3 metri, imbevute di una miscela calda di erbe e sangue animale.

In pratica, il piede cresceva, ma deformato, e spesso le ossa dei metatarsi o delle articolazioni si rompevano o venivano rotte, per poi saldarsi in maniera irregolare. Gran parte delle volte, le dita cadevano. Inoltre, per facilitare il processo di avvicinamento di alluce e tallone, la carne eccedente al di sotto della pianta veniva rimossa con un taglio profondo. Il processo veniva ripetuto regolarmente, per pulire le piaghe, tagliare le unghie e assicurarsi che non ci fossero infezioni. Ogni giorno le bende erano più strette, ma affinchè i piedi assumessero la forma desiderata, bisognava aspettare dai 3 ai 10 anni. Per garantirne il successo, le giovani donne indossavano delle scarpette rigide anche di notte.

Queste scarpe (chiamate scarpe di loto) erano minuscole e minuziosamente lavorate, appuntite e arcuate, per esaltare la forma del piede. Venivano fabbricate dalla stessa donna che le indossava, come simbolo di sacrificio e abilità casalinghe. Quanto più il piede si presentava piccolo e aggraziato, tanto più era facile per una donna assicurarsi un matrimonio con un uomo di ceto elevato: una donna dai piedi piccoli non poteva svolgere lavori pesanti. Le figlie dei contadini, invece, in mancanza di un pretendente a causa dei loro piedi d’anatra o d’elefante (appellativo dato alle donne dai piedi grandi), rischiavano spesso di essere vendute come concubine. Questo portò la diffusione del bendaggio dei piedi anche nelle classi meno abbienti, che stabiliva un prestigio sociale atto a sancire proficui legami con famiglie facoltose.

I piedi deformati provocavano all’inizio dolori lancinanti, ma con il passare del tempo i nervi perdevano sensibilità e il dolore diminuiva. Permanevano però seri problemi legati alla circolazione, alla postura e alla schiena. Molte donne in età avanzata perdevano facilmente l’equilibrio e si fratturavano le anche; altre, andavo incontro a paralisi e atrofie muscolari.

Ma qual era il vero motivo per cui un piede piccolo era sinonimo di bellezza nell’antica Cina?

La risposta è presente già nel nome di quest’atroce fenomeno culturale: il loto. Il loto, simbolo di purezza e perfezione, è quel fiore che, nella tradizione buddhista cinese, nasce nel fango, ma fluttua nel vento. Allo stesso modo la donna che appoggia il peso del corpo solo sui talloni, ha un portamento fluttuante, leggero, sensuale: quasi sembra che danzi.

La fasciatura dei piedi rappresenta un aspetto peculiare della cultura cinese del tempo, ovvero quello dell’asservimento della donna all’uomo. Una donna che a stento si regge in piedi, non potrà mai scappare di casa (o almeno non farà tanti chilometri a piedi) e rimarrà legata alla famiglia. Quest’estrema docilità caratteriale era una virtù tipica del Confucianesimo, secondo il quale la donna era un essere inferiore, con l’unico compito di badare alla famiglia, fare ed educare i figli, ed essere rispettosa verso il marito. 

Come in ogni società maschilista, l’idea di potere su un individuo di sesso femminile genera nell’uomo un forte eccitamento sessuale: il desiderio di toccare un piede piccolo, fasciato e a mezzaluna, risvegliava le fantasie erotiche dell’uomo cinese, il quale era convinto che l’andatura oscillante della donna stimolasse l’ingrossamento dei muscoli adduttori delle gambe provocando così un restringimento della vagina; per questo motivo, fare l’amore con una donna dai piedi fasciati, era come farlo con una vergine tutte le volte. Inoltre, essendo i piedi fasciati di dimensioni minuscole, non venivano quasi mai visti, perchè nascosti dalle lunghe vesti; questo senso di mistero a cui erano associati, creava fascino e piacere negli uomini, che assieme all’andamento oscillante e lento che provocava, li portava a desiderare di proteggere la sua vulnerabile proprietaria. Altri ancora avevano un debole per l’odore dei piedi fasciati. Secondo Freud, questa perversione (feticismo del piede) placava l’ansia da castrazione maschile.

L’origine della pratica del bendaggio dei piedi si fa risalire alla Danza della luna sul fiore del Loto, eseguita da Yao Niang, una concubina dell’imperatore Li Yu, che durante il suo regno (937-978), per ogni performance si fasciava i piedi con lunghi nastri di seta bianca e danzava su un loto d’oro incastonato di gemme preziose. Questo espediente le permetteva di fare dei passi di danza altrimenti impossibili, apprezzati a tal punto dall’imperatore, che se ne innamorò. Ciò spinse cortigiane e nobili ad imitare la scelta della danzatrice, sottoponendo le bambine alla stessa pratica.

Durante la dinastia Yuan (1279-1368), di origine mongola, i piedi di loto divennero un importante simbolo di sopravvivenza della cultura cinese Han. Le donne cinesi Han, infatti, continuarono la pratica della fasciatura per distinguersi dai mongoli, dai cui si ritenevano etnicamente superiori.

La pratica del bendaggio dei piedi iniziò a tramontare con la dinastia dei Manciù (I Quing), quando le donne, temendo le sanzioni contro di essa già in voga all’epoca, cominciarono a fasciare i piedi senza deformarli. Anche i missionari cristiani e i giapponesi si batterono contro questa pratica, e un decreto imperiale nel 1911 la proibì. Nonostante ciò, l’usanza permase almeno fino al 1949, quando i piedi di loto iniziarono ad essere considerati un’usanza aristocratica e perciò condannati dal comunismo di Mao Zedong. Le donne che avevano subito la deformazione, se da principio venerate, finirono per essere disprezzate e infine dimenticate. 

Al prossimo articolo!

Fonti: